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Dal Medioevo ai Savoia: il Moscato, orgoglio di Canelli

Continua il nostro viaggio alle origini del Moscato. Dopo aver visto come Romani e Barbari si influenzarono a vicenda nel modo di bere i vini bianchi e frizzanti, tra cui molto probabilmente già figurava il Moscato, passiamo alla storia medioevale e moderna, epoca in cui il vitigno piemontese si radica nel proprio territorio di vocazione, le colline attorno a Canelli.

L’epoca della comparsa sul territorio piemontese del Moscato è di difficile determinazione. Secondo alcuni studiosi, le prime testimonianze scritte della sua presenza risalgono agli inizi del XIV sec., mentre c’è chi ne ipotizza la coltivazione addirittura da prima del XII secolo[1].

Un tempo si era soliti attribuire alle famiglie un cognome in base al lavoro che svolgevano e, poiché nelle pagine del Codex Astensis (la più importante raccolta trecentesca di cronache e documenti medioevali riguardanti la città di Asti) i “Muscati di Agliano” vengono nominati più volte, è plausibile l’ipotesi di una diffusione del vitigno Moscato addirittura anteriore al XII sec.[2]

L’origine greca

Il Moscato era assai conosciuto ed apprezzato anche prima di allora, ma la sua provenienza era principalmente greca. Vino prezioso e certamente costoso si mesceva solo alle mense dei nobili e dei ricchi.

I signori feudali, pur inclini ad esibire la loro agiatezza, non amavano certo sperperare inutilmente i propri denari e così iniziarono a favorire l’impianto dell’uva Moscato nel territorio astigiano e in special modo a Canelli. È proprio da allora che Canelli e Moscato divennero, con il passare dei secoli, un binomio inscindibile, oggi riconosciuto anche nella sottozona «Canelli», ovvero il Moscato prodotto in una limitata zona del Piemonte la più storica e tradizionale: un’area che grossomodo va da Calamandrana a San Rocco Seno d’Elvio, frazione del comune di Alba.

I feudatari non si decisero a impiantare moscato bianco solo per motivi economici, furono mossi anche dall’orgoglioso desiderio di servire alle loro tavole un vino buono quanto quello greco, per di più coltivato nelle proprie terre.

Gli statuti di Canelli

L’immagine di tirannici sfruttatori a cui si è soliti associare questi signori feudali è storicamente assai discutibile. In realtà questi ultimi, dopo la cacciata dei saraceni e a causa dei loro saccheggi, incentivarono al massimo e con grande equità la ripresa di una florida coltura agricola, ossatura fondamentale dell’economia dell’epoca.

Per capire quanto fosse tenuta in conto la coltivazione della vite e del Moscato, basterebbe leggere gli statuti di Canelli risalenti al XIV secolo. Chi tagliava, sradicava o danneggiava le viti altrui, rischiava multe molto severe e, nei casi più gravi, addirittura l’amputazione di un “membro della sua persona”.[3]

 emanuele filiberto di savoia

Il Moscato sotto i Savoia

Il Moscato non venne piantato solo in Canelli ma in diversi altri comuni, senza tuttavia ottenere i risultati sperati. In Canelli trovò, invece, la sua terra d’elezione e non è certo un caso che prima i Sommelier di Emanuele Filiberto di Savoia, poi quelli di Carlo Emanuele I si rifornissero proprio in tale Comune.

È bene ricordare che fu soprattutto grazie a Emanuele Filiberto di Savoia che a metà del XVI sec. si procedette ad incrementare ulteriormente la coltivazione del Moscato e, di conseguenza, ad incentivarne il commercio, ai tempi effettuato con botticelle di legno.

Quest’ultimo fatto dovrebbe indurci a riflettere sul perché oggi il Moscato sia ingiustamente relegato esclusivamente a vino di pronto consumo, quando in passato veniva ritenuto capace di durare più di quel che non si creda oggi.

 

[1] G. Mainardi (a cura di), 1932-2007. 75 anni del Consorzio per la tutela dell’Asti, Asti, Consorzio per la tutela dell’Asti, pp. 8-9.

[2] G. Ricaldone, La vite e il vino nel consortile di Canelli, pag. 66.

[3] Gli Statuti di Canelli, Fabiano Editore, p.101.