
Per l’undicesima volta, anche quest’anno la guida del Gambero Rosso ha insignito dei 3 bicchieri il nostro Pomorosso, un’interpretazione avant-garde di un vitigno antico e popolare. A metà degli anni ’80 del secolo scorso, abbiamo iniziato a credere nel potenziale qualitativo della Barbera, interpretandola con occhi nuovi, e contribuendo in parte alla rinascita di questo vitigno. Se Pomorosso è per noi il simbolo di questa rivoluzione, la Barbera è l’icona ampelografica delle nostre colline da tempi molto antichi. Ma esattamente…da quanto? Scartabellando tra i documenti di famiglia, siamo andati alla ricerca delle radici di questo vino meraviglioso. Perché siamo certi che la nostra innovazione si appoggi su una lunga e sapiente tradizione.
«Nel contado di Nizza de la Paglia [vennero inviati] appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino barbera per servizio di S.A. Serenissima e di pagargli al giusto prezzo»
(Da una lettera del 1609 scoperta nell’archivio comunale di Nizza Monferrato)
Le origini di questo vitigno sono antichissime, ma i primi documenti che ne danno testimonianza risalgono solamente a qualche secolo fa. La prima traccia formale si trova in un documento catastale del comune di Chieri, presso Torino, nel 1514. Non è però lontana dal vero l’ipotesi secondo cui la sua diffusione risalga a molto prima, magari con nomi differenti a seconda dei luoghi, cosa molto frequente in passato. Frequenti ad esempio i riferimenti contenuti nel Codex Astensis ad un’uva chiamata “de bonus vitibus berbexinis”, che si dice molto diffusa a Canelli e dintorni già nel XIII secolo e forse identificabile proprio con il vitigno Barbera. La Barbera, come ci ricorda il professor Dalmasso (uno dei più importanti enologi italiani del ‘900), viene poi nominata in una lettera del 1609, scoperta dal Dottor Arturo Bersano nell’archivio comunale di Nizza Monferrato. In essa risulta che in quell’anno vennero inviati «nel Contado di Nizza de la Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino barbera per servizio di S.A. Serenissima e di pagargli al giusto prezzo». Il che significa che la fama del vino Barbera prodotto nell’astigiano era giunta fino alla corte ducale di Mantova dove non mancavano le occasioni per banchettare e per apprezzare i migliori vini d’Italia (Viti e vini della provincia di Alessandria, Desana, 1976).
Alla fine del Settecento, nel primo trattato di ampelografia dei vitigni piemontesi, veniva così definita «vino possente, sempre piuttosto severo, ma ricco d’un profumo squisito, e d’un sapore che alla forza accoppia la finezza» (Sulla coltivazione della viti, Nuvolone, 1798). A fine Ottocento se ne attestava quindi la storicità e l’importanza per l’enologia piemontese: «vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del basso Monferrato, dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato…» (Ampelografia della provincia di Alessandria, Carlo Leardi e Pier Paolo Demaria, 1875).
Molto è cambiato in questi ultimi secoli, anche grazie ad etichette come il nostro Pomorosso, che hanno rivoluzionato la percezione e l’immagine della Barbera sul mercato interno e internazionale. E gli stessi mercati, d’altronde, non sono più quelli di una volta…